Saturday, March 20, 2010

Teach more Latin, says London mayor


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PA

It's a dead language, fiendish to master and irrelevant to the modern age, say its detractors.

Classical enthusiasts point out that 80 per cent of the English language can be traced back to Latin but have had only limited success in persuading British schools to offer the joys of the dative, the vocative and the ablative absolute.

But now a new champion has emerged in the form of London mayor Boris Johnson.

Mr Johnson is calling for more schools to teach Latin after a survey showed that only two to four per cent of state primary schools offer the language compared to 40 per cent of independent schools.

The survey, carried out by enthusiasts' group Friends Of The Classics, found that the main reasons for not teaching Latin are the difficulty in recruiting trained staff and the lack of space on the timetable, with 33 per cent forced to offer it as an after school lesson.

"It is absurd that the progenitor of many modern European languages is not recognised on the national curriculum," Mr Johnson said. "We cannot possibly understand our modern world unless we understand the ancient world that made us all."

The survey, which interviewed 1,100 state and independent schools across Britain, said 72 per cent of independent schools teach "classical civilisation" compared to just 38 per cent of state schools.

One of them, Barking Abbey state secondary school in London, introduced the study of Latin a few years ago and says it is now a very popular subject.

Sunday, March 7, 2010

Note storico-liturgiche sul rito dell'Eucaristia


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Note storico-liturgiche sul rito dell'Eucaristia
"Come il lattante in braccio a chi lo nutre"




di Mons. Athanasius Schneider, Vescovo ausiliare di Karaganda, Kazachistan. 
L'articolo è stato pubblicato dall'Osservatore Romano il 9 gennaio 2008.

Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica, Ecclesia de Eucaristia, ha lasciato alla Chiesa un'ammonizione ardente che suona come un vero testamento: "Dobbiamo badare con ogni premura a non attenuare alcuna dimensione o esigenza dell'Eucaristia. Così ci dimostriamo veramente consapevoli della grandezza di questo dono (...) non c'è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero!" (n. 61). La consapevolezza della grandezza del mistero eucaristico si mostra in modo particolare nella maniera con cui è distribuito e ricevuto il Corpo del Signore.

 Consapevole della grandezza del momento della sacra Comunione, la Chiesa nella sua bimillenaria tradizione ha cercato di trovare un'espressione rituale che potesse testimoniare nel modo più perfetto possibile la sua fede, il suo amore e il suo rispetto. Questo si è verificato, quando nella scia d'uno sviluppo organico, a partire almeno dal sesto secolo, la Chiesa cominciò ad adottare la modalità di distribuire le sacre specie eucaristiche direttamente in bocca. Così testimoniano: la biografia di Papa Gregorio Magno e un'indicazione dello stesso Gregorio relativa a Papa Agapito (Dialoghi, III).

Il sinodo di Cordoba dell'anno 839 condannò la setta dei cosiddetti "casiani" a causa del loro rifiuto di ricevere la sacra Comunione direttamente in bocca. Poi il sinodo di Rouen nell'anno 878 ribadì la norma vigente della distribuzione del Corpo del Signore sulla lingua, minacciando i ministri sacri della sospensione dal loro ufficio, se avessero distribuito ai laici la sacra Comunione sulla mano.

In Occidente, il gesto di prostrarsi e inginocchiarsi prima di ricevere il corpo del Signore si osserva negli ambienti monastici già a partire dal sesto secolo, per esempio nei monasteri di san Colombano. Più tardi - nel decimo e nell'undicesimo secolo - questo gesto si è diffuso maggiormente. Alla fine dell'età patristica la prassi di ricevere la sacra Comunione direttamente in bocca diventa quindi una prassi ormai diffusa e quasi universale.

Questo sviluppo organico si può considerare come un frutto della spiritualità e della devozione eucaristica del tempo dei Padri della Chiesa.. Già nel primo millennio, a causa del carattere altamente sacro del Pane eucaristico, la Chiesa sia in Occidente si in Oriente in un ammirevole consenso e quasi istintivamente ha percepito l'urgenza di distribuire la sacra Comunione ai laici solamente in bocca. Il liturgista Josef Andreas Jungmann spiegava che, a causa della distribuzione della Comunione direttamente in bocca, si eliminarono varie preoccupazioni: quella che i fedeli debbano avere pulite le mani, la preoccupazione ancora più grave che nessun frammento del Pane consacrato si perda, la necessità di purificare la palma della mano dopo la ricezione del sacramento. La tovaglia e, più tardi, il piattino per la Comunione saranno l'espressione di accresciuta attenzione riguardo al sacramento eucaristico.

Papa Giovanni Paolo II così insegna nell'Ecclesia de Eucaristia: "Sull'onda di questo elevato senso del mistero si comprende come la fede della Chiesa nel mistero eucaristico si sia espressa nella storia non solo attraverso l'istanza di un interiore atteggiamento di devozione, ma anche attraverso una serie di espressioni esterne" (n.49). L'atteggiamento più consono a questo dono è l'atteggiamento della ricettività, l'atteggiamento dell'umiltà del centurione, l'atteggiamento di lasciarsi nutrire, appunto l'atteggiamento del bambino. La parola di Cristo, che ci invita ad accogliere il Regno di Dio come un bambino (Cfr. Luca 18,17), può trovare la sua illustrazione in modo assai suggestivo e bello anche nel gesto di ricevere il Pane eucaristico direttamente in bocca ed in ginocchio. Giovanni Paolo II metteva in evidenza la necessità di espressioni esterne di rispetto verso il pane eucaristico: "Se la logica del ‘convito' ispira familiarità, la Chiesa non ha mai ceduto alla tentazione di banalizzare questa ‘dimestichezza' col suo Sposo dimenticando che Egli è anche il suo Signore (...) Il convito eucaristico è davvero convito ‘sacro', in cui la semplicità dei segni nasconde l'abisso della santità di Dio. Il pane che è spezzato sui nostri altari (...) è pane degli angeli, al quale non ci si può accostare che con l'umiltà del centurione del Vangelo" (n.48).

L'atteggiamento del bambino è il più vero e profondo atteggiamento di un cristiano davanti al suo Salvatore, che lo nutre con il suo corpo e il suo sangue, secondo le seguenti commoventi espressioni di Clemente di Alessandria: "Il Lògos è tutto per il bambino: padre, madre, pedagogo, nutritore. ‘Mangiate, dice Lui, la Mia carne e bevete il Mio sangue!' (...) O incredibile mistero!". (Pedagogus, I, 42,3).

Un'altra considerazione biblica è fornita dal racconto della vocazione del profeta Ezechiele. Egli ricevette simbolicamente la parola di Dio direttamente in bocca: "Apri la bocca e mangia ciò che io ti do". Io guardai ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo (...) Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo. Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele" (Ezechiele, 2, 8-9; 3, 2-3). Nella sacra Comunione riceviamo la Parola, fatta carne, fatta cibo per noi piccoli, per noi bambini. Quindi, quando ci accostiamo alla sacra Comunione, possiamo ricordarci di quel gesto del profeta Ezechiele. Cristo ci nutre veramente con il Suo corpo e sangue nella sacra Comunione e ciò è paragonato nell'età patristica all'allattamento materno, come mostrano queste parole di san Giovanni Crisostomo nelle sue omelie sul Vangelo di Giovanni: "Con questo mistero eucaristico Cristo si unisce ad ogni fedele, e quelli che ha generato li nutre da sé e non li affida ad un altro. Non vedete con quanto slancio i neonati accostano le loro labbra al petto della madre? Ebbene, anche noi accostiamoci con tale ardore a questa sacra mensa e al petto di questa bevanda spirituale; anzi, con un ardore maggiore di quello dei lattanti!" (82,5).

Il gesto più tipico dell'adorazione è quello biblico dell'inginocchiarsi, come lo hanno recepito e praticato i primi cristiani. Per Tertulliano, che visse tra il secondo e il terzo secolo, la più alta forma dell'orazione è l'atto dell'adorazione di Dio, che si deve manifestare anche nel gesto della genuflessione: "Pregano tutti gli angeli, prega ogni creatura, pregano il bestiame e le belve e piegano le ginocchia" (De Oratione, 29). Sant'Agostino avvertiva che noi pecchiamo, se non adoriamo il Corpo eucaristico del Signore, quando lo riceviamo: "Nessuno mangi quella carne, se prima non l'ha adorata. Pecchiamo se non l'adoriamo" (Enarrationes in Psalmos, 98, 9).

In un antico Ordo communionis della tradizione liturgica della Chiesa copta fu stabilito: "Tutti si prostrino a terra, piccoli e grandi e così cominci la distribuzione della Comunione".

Secondo le Catechesi mistagogiche, attribuite a san Cirillo di Gerusalemme, il fedele deve ricevere la Comunione con un gesto di adorazione e venerazione: "Non stendere le mani, ma in un gesto di adorazione e venerazione accostati al calice del sangue di Cristo" (5,22).

San Giovanni Crisostomo nelle omelie sulla lettera ai Corinzi esorta coloro che si accostano al corpo eucaristico del Signore a imitare i Magi dell'Oriente nello spirito e nel gesto dell'adorazione: "Accostiamoci dunque a Lui con fervore e con ardente carità. Questo corpo, benché si trovasse in una mangiatoia, lo adorano gli stessi Magi. Ora, quegli uomini, senza conoscenza della religione ed essendo barbari, adorano il Signore con grande timore e tremore. Ebbene, noi che siamo cittadini dei cieli, cerchiamo almeno di imitare questi barbari! Tu, a differenza dei Magi, non vedi semplicemente questo corpo, ma ne hai conosciuto tutta la sua forza e tutta la sua potenza salvifica. Sproniamo dunque noi stessi, tremiamo e mostriamo una pietà maggiore di quella dei Magi" (24,5).

Sullo stretto legame tra l'adorazione e la sacra Comunione Papa Benedetto XVI nell'esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis ha scritto: "Ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo" (n.66). Già da cardinale, Ratzinger sottolineava questo aspetto: "Cibarsene [dell'Eucaristia] (...) è un evento spirituale, che investe tutta la realtà umana. ‘Cibarsi' di essa significa adorarla. Per questo l'adorazione (...) neppure si pone accanto alla Comunione: la Comunione raggiunge la sua profondità solo quando è sostenuta e compresa dall'adorazione (Introduzione allo spirito della liturgia, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2001, p.86).

Nel libro dell'Apocalisse, il libro della liturgia celeste, il gesto della prostrazione dei ventiquattro anziani davanti all'Agnello può essere il modello e il criterio di come la Chiesa in terra debba trattare l'Agnello di Dio quando i fedeli si avvicinano a lui nel sacramento dell'Eucaristia.

I Padri della Chiesa mostrarono una viva preoccupazione affinché non si perda nemmeno un minimo frammento del Pane eucaristico, come esortava san Cirillo di Gerusalemme in maniera suggestiva: "Sii vigilante affinché tu non perda niente del corpo del Signore. Se tu lasciassi cadere qualcosa, devi considerarlo come se tu avessi tagliato uno dei membri del tuo proprio corpo. Dimmi, ti prego, se qualcuno ti desse granelli d'oro, tu per caso non li terresti con la massima cautela e diligenza, intento a non perdere niente? Non dovresti tu curare con cautela e vigilanza ancora maggiore, affinché niente e nemmeno una briciola del corpo del Signore possa cadere a terra, perché è di gran lunga più prezioso dell'oro e delle gemme?" (Catechesi mistagogiche, 5,21).

Già Tertulliano testimoniava l'angoscia e il dolore della Chiesa perché non si perda nessun frammento: "Soffriamo angoscia perché nulla dal calice o del pane cada a terra" (De Corona, 3).

Sant'Efrem - quarto secolo - così insegnava: "Gesù ha riempito il pane di se stesso e di Spirito e lo ha chiamato il Suo corpo vivo. Ciò che adesso vi ho dato, diceva Gesù, non lo considerate pane, nemmeno calpestate i suoi frammenti. Il minimo frammento di questo pane può santificare milioni di uomini e basta per dare la vita a tutti quelli che lo mangiano" (Sermones in hebdomada sancta, 4,4).

Nella tradizione liturgica della Chiesa copta si trova la seguente avvertenza: "Non c'è nessuna differenza tra le parti maggiori o minori dell'Eucaristia, persino quelle minime che non si possono percepire con l'acutezza della vista; esse meritano la stessa venerazione e possiedono la stessa dignità come il pane intero" (Heinrich Denzinger, Ritus Orientalium, Wurzuburg, 1863, I, p.405).

In alcune liturgie orientali il Pane consacrato è designato con il nome "perla". Così nelle Collectiones canonum Copticae si dice: "Dio non voglia! Che nulla delle perle o dei frammenti consacrati aderisca alle dita o cada a terra!". L'estrema vigilanza a cura della Chiesa dei primi secoli affinché non si perdesse nessun frammento del Pane eucaristico era un fenomeno universalmente diffuso: Roma (cfr Ippolito, Traditio apostolica, 32), Africa del nord (cfr Tertulliano, De Corona, 3, 4), Gallia (cfr Cesario di Arles, Sermo, 78, 2), Egitto (cfr Girolamo, In Psalmos, 147, 14), Siria (Efrem, In hebdomada sanctam, 4, 4).

Nella Chiesa antica gli uomini prima di ricevere il pane consacrato dovevano lavarsi la palma della mano. Inoltre il fedele s'inclinava profondamente ricevendo il Corpo del Signore con la bocca direttamente dalla palma della mano destra e non dalla mano sinistra. La palma della mano serviva per così dire come patena o come corporale - specialmente per le donne. Così si legge in un sermone di Cesario di Arles (470-542): "Tutti gli uomini che desiderano comunicarsi, devono lavare le proprie mani. E tutte le donne devono portare un lino, sul quale ricevono il corpo di Cristo" (Sermo, 227, 5).

Di solito la palma della mano veniva purificata ossia lavata dopo la ricezione del pane eucaristico come è finora norma nella Comunione del clero nel rito bizantino.

Nei vecchi canoni della Chiesa caldea, persino al sacerdote celebrante era vietato di mettere il pane eucaristico nella propria bocca con le dita. Invece doveva prendere il corpo del Signore dalla palma della sua mano; come motivo era indicato che si trattava non di cibo comune, ma di cibo celeste: "Al sacerdote - si legge nel Canone di Ioannis Bar-Agbari - si ordina di ricevere la particella del pane consacrato direttamente dalla palma della sua mano. Non gli sia permesso di metterla con la mano nella bocca, ma deve prenderla con la bocca, poiché si tratta di un cibo celeste".

Nell'antica Chiesa siriaca il rito della distribuzione della Comunione era comparato con la scena della purificazione del profeta Isaia da parte di uno dei serafini. In uno dei suoi sermoni sant'Efrem lascia parlare Cristo con queste espressioni: "Il carbone portato santificò le labbra di Isaia. Sono Io, che, portato adesso a voi per mezzo del pane, vi ho santificato. Le molle che ha visto il profeta e con le quali fu preso il carbone dall'altare, erano la figura di Me nel grande sacramento. Isaia ha visto Me, così come voi vedete Me adesso stendendo la Mia mano destra e portando alle vostre bocche il pane vivo. Le molle sono la Mia mano destra. Io faccio le veci del serafino. Il carbone è il Mio corpo. Tutti voi siete Isaia" (Sermones in hebdomada sancta, 4, 5).

Nella liturgia di san Giacomo, prima di distribuire ai fedeli la sacra Comunione, il sacerdote recita questa preghiera: "il Signore ci benedica e ci renda degni di prendere con mani immacolate il carbone acceso, mettendolo nella bocca dei fedeli".

Se ogni celebrazione liturgica è azione sacra per eccellenza (cfr Sacrosanctum concilium, n.7), lo deve essere soprattutto il rito della sacra Comunione. Giovanni Paolo II insisteva sul fatto che, dinanzi alla cultura secolarizzata del tempo moderno, la Chiesa di oggi debba sentire uno speciale dovere riguardo alla sacralità dell'Eucaristia: "Bisogna ricordarlo sempre, e forse soprattutto nel nostro tempo, nel quale osserviamo una tendenza a cancellare la distinzione tra sacrum e profanum, data la generale diffusa tendenza - almeno in certi luoghi - alla dissacrazione di ogni cosa. In tale realtà la Chiesa ha il particolare dovere di assicurare e corroborare il sacrum dell'Eucaristia. Nella nostra società pluralistica, e spesso anche deliberatamente secolarizzata, la viva fede della comunità cristiana garantisce a questo sacrum il diritto di cittadinanza" (Dominicae cenae, 8).

In base all'esperienza fatta nei primi secoli, alla crescita organica nella comprensione teologica del mistero eucaristico e al conseguente sviluppo rituale, il modo di distribuire la Comunione sulla mano fu limitato alla fine dell'età patristica ad un gruppo qualificato, cioè al clero, come è finora nel caso dei riti orientali. Ai laici si cominciò pertanto a distribuire il pane eucaristico - intinto nel vino consacrato nei Riti orientali - direttamente in bocca. Sulla mano si distribuisce nei Riti orientali soltanto il pane non consacrato, il cosiddetto antidoron. Così si mostra in maniera evidente anche la differenza tra Pane eucaristico e pane semplicemente benedetto. La più frequente ammonizione dei Padri della Chiesa sull'atteggiamento da avere durante la sacra Comunione suonava così: cum amore ac timore.

Lo spirito autentico della devozione eucaristica dei Padri della Chiesa si sviluppò organicamente alla fine dell'antichità in tutta la Chiesa - Oriente e Occidente - nei corrispondenti gesti del modo di ricevere la sacra Comunione in bocca con la precedente prostrazione a terra - Oriente - o inginocchiati - Occidente. Non corrisponderebbe maggiormente all'intima realtà e verità del pane consacrato, se anche oggi il fedele per riceverlo si prostrasse a terra aprendo la bocca come il profeta che riceveva la parola di Dio (cfr Ezechiele, 2) e lasciandosi nutrire come un bambino - poiché la Comunione è un allattamento spirituale? Un tale gesto sarebbe anche un impressionante segno della professione di fede nella presenza reale di Dio in mezzo ai fedeli. Se sopraggiungesse qualche non credente e osservasse un tale atto di adorazione, forse anche lui "si prostrerebbe a terra e adorerebbe Dio, proclamando che veramente Dio è tra voi" (1 Corinzi, 14, 24-25).

Sunday, February 28, 2010

Bad news from Canada


TORONTO--Only three weeks after a Solemn High Mass was held on Candlemas assisted by transitional Deacons and Seminarians of St. Augustine's Seminary in Toronto; and less than a week after a column appeared on Rorate Caeli Blog extolling the provisioning of the Traditional Latin Mass in Ontario, it was announced today after the Mass for Quadragesima Sunday that effective next Sunday, February 28, 2009, the Toronto Apostolate of the Priestly Fraternity of St. Peter will come to an end.


Apostolate Chaplain, Father Howard Venette, FSSP addressed the nearly 100 congregants following the Mass advising the shocked congregation that the departure was due to "internal personnel" matters. Father Venette will be reassigned to Orlando, Florida following his 19 month stay in Toronto.


The FSSP was invited to Toronto by Archbishop Thomas Collins with the hopes of establishing a personal parish for the Extraordinary Form of the Roman Rite. In September 2009, a public announcement was made by the Fraternity and on the Archdiocese of Toronto web page that Canadian Martyrs parish would be the location over a six-month transitional period. Within days of this announcement and without public explanation, the situation changed and the parish plan did not materialise.

Recently, the Fraternity was advised that while a parish was not currently available, its provision would depend on the continued growth and financial viability of the community. In the last 19 months, attendance at the Sunday Mass at St. Theresa Shrine Church increased over 60% from the attendance under the former indult at the Missa Lecta to the Missa Cantata.


It was also announced that Father Liam Gavigan will resume the celebration of the Mass as of Sunday March 7. Father Gavigan is a retired priest living two hours east of Toronto and already celebrates the Mass Sunday at 9:00AM at Schomberg before travelling 49 kilometers to the Carmelite Monastery at Zephyr, Ontario for Mass at 11:30AM. Zephyr is 54 kilometers from the scheduled 1:00PM Mass at St. Theresa Shrine Church in Scarborough through the southern Ontario snow-belt.


Upon arrival in Toronto, Father Venette was in residence at Holy Cross parish where the Mass was celebrated daily and on High Holy Days. Following the situation in September over Canadian Martyrs, Father was moved to St. Brigid's where the daily Mass schedule changed from week to week and the High Holy Day liturgies were split between St. Brigid's and St. Theresa's Parish. That Father was, "in residence" at St. Brigid's parish, was noticeably absent from the parish bulletin and a phone number, separate from the parish was recently necessary.


According to officials from Una Voce Toronto, Archbishop Collins had indicated that he desired no less than "five" Extraordinary Form Masses throughout the Archdiocese of Toronto every Sunday. As for daily Mass, it is unknown how those in the east end, many of them seniors, will fare now that the Fraternity is leaving and not providing daily Mass.

A Solemn High Mass was being planned for St. Theresa's for March 19, the Feast of St. Joseph, Patron Saint of Canada and has now been cancelled. After the departure of Father Venette, the only daily Mass in the Extraordinary Form in the Archdiocese of Toronto will be at The Toronto Oratory Church of the Holy Family. The Society of St. Pius X also operates a "Mass Centre" in Toronto.


The recessional hymn at Mass was appropriately, Take Up Your Cross.

Saturday, February 20, 2010

Important Clarifications from Ecclesia Dei

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhw_p-tSSXQOHAjo4I1H74DRKY15gjCLFEkKH2pP2dYoJQhkpbK-bTWK5X16nG2mBdzznzZB22PB03S9cd9dH0KM3iJZyzALgyws7o6nNU6ZMUdzo6rxSDH9n1oLBXERaRMnhg30YGG2X4/s400/Santa+Barbara

by Gregor Kollmorgen

The Pontifical Commission Ecclesia Dei has recently answered some important questions regarding the application of the motu proprio Summorum Pontificum submitted by the moderator for the faithful attached to the Extraordinary Form of the diocese of Rzeszów, Poland. The answers, however, are applicable generally. The original questions (in German) and answers (in Italian), published by Nowy Ruch Liturgiczny are reproduced below (see link - Godwin Xuereb). Here is an NLM summary; questions 2 and 3 have easily the biggest impact:

1. If there is no other possibility, because for instance in all churches of a diocese the liturgies of the Sacred Triduum are already being celebrated in the Ordinary Form, the liturgies of the Sacred Triduum may, in the same church in which they are already celebrated in the Ordinary Form, be additionally celebrated in the Extraordinary Form, if the local ordinary allows.

2. A Mass in the usus antiquior may replace a regularly scheduled Mass in the Ordinary Form. The question contextualizes that in many churches Sunday Masses are more or less scheduled continually, leaving free only very incovenient mid afternoon slots, but this is merely context, the question posed being general. The answer leaves the matter to the prudent judgement of the parish priest, and emphasises the right of a stable group to assist at Mass in the Extraordinary Form.

3. A parish priest may schedule a public Mass in the Extraordinary Form on his own accord (i.e. without the request of a group of faithful) for the benefit of the faithful including those unfamiliar with the usus antiquior. The response of the Commission here is identical to no. 2.

4. The calendar, readings or prefaces of the 1970 Missale Romanum may not be substituted for those of the 1962 Missale Romanum in Masses in the Extraordinary Form.

5. While the liturgical readings (Epistle and Gospel) themselves have to be read by the priest (or deacon/subdeacon) as foreseen by the rubrics, a translation to the vernacular may afterwards be read also by a layman.

Sunday, January 24, 2010

The First Seminary Chapel in the USA Built for Seminarians in the Extraordinary Form of the Roman Rite in 40 Years


DENTON, Nebraska – January 22, 2010 – The Priestly Fraternity of Saint Peter is pleased to announce the Pontifical Consecration of its newly built chapel at Our Lady of Guadalupe Seminary on Wednesday, March 3rd at 10:00am (CST). Bishop Fabian Bruskewitz will celebrate the Pontifical Consecration and Mass according to the Extraordinary Form of the Roman Rite.
The five hour ceremony will be held in the presence of a very special guest from the Vatican, William Cardinal Levada, Prefect of the Congregation for the Doctrine of the Faith. The Priestly Fraternity of Saint Peter is delighted to have the presence of one of the highest ranking officials in the Catholic Church. Cardinal Levada's presence is connected with his position as President of the Pontifical Commission Ecclesia Dei established by Pope John Paul II and recently expanded by Pope Benedict XVI to facilitate the full incorporation into the life of the Church of communities and individuals attached to the Extraordinary Form.

Thanks to Thomas Gordon Smith, its architect, the seminary chapel reflects a contemporary rebirth in the rich tradition of classical Catholic architecture. Upon entering through its mahogany doors, the visitor will be immersed in the chapel's beauty and grandeur which include an elevated main altar, emphasized by a 31-foot marble canopy or "baldachino", the chapel's seven side altars and liturgical choir stalls which seat 92 seminarians and priests. These are some of the integral qualities of this chapel which, on March 3rd, will be full of the people for which it was made.
The Pontifical Consecration and Mass is open to all of the public. Any and all the faithful are cordially invited and are most welcome to attend this joyful event and enjoy refreshments afterward.

Due to the number of guests and limited space, rooms and television screens will be provided for those outside of the chapel who wish to participate.

The Pontifical Consecration and Mass will be televised live on the Eternal World Television Network (EWTN) at 11:00AM (EST). Watch the Pontifical Consecration and Mass Live Online!
www.ewtn.com/audiovideo

Saturday, January 9, 2010

Papal liturgist sees need for 'reform of the reform'




January 07, 2010

Msgr. Guido Marini, the master of ceremonies for papal ceremonies, called for a liturgical “reform of the reform” in a January 6 address to a conference organized by the Confraternity of Catholic Clergy. Msgr. Marini explained that this movement should “move one more step ahead in understanding the authentic spirit of the liturgy.”

The Vatican’s chief liturgist said that a renewal of the liturgy must reflect “the uninterrupted tradition of the Church,” incorporating the suggestions of Vatican II into that tradition. The conciliar reforms, he insisted, must be understood as being in continuity with the traditions of previous centuries. “The only disposition which permits us to attain the authentic spirit of the liturgy,” he said, “is to regard both the present and the past liturgy of the Church as one patrimony in continuous development.”

Msgr. Marini lamented that the need for renewal is evident in the widespread abuses of the liturgical. He observed that “it is not difficult to realize how far distant some modes of conduct are from the authentic spirit of the liturgy.” He added: “For this, we priests are largely responsible.”

Citing the works of then-Cardinal Ratzinger, from before his election as Benedict XVI, the Italian cleric emphasized that the form of the liturgy is established by the whole Church, and should not be altered arbitrarily by an individual priest-celebrant. He decried the “despotic behavior” of priests who disregard liturgical rules, and emphasized that the liturgy “is not made available to us in order to be subjected to our personal interpretation; rather, the liturgy is made available so as to be fully at the disposal of all, yesterday just as today and also tomorrow.”

Msgr. Marini continued:

What casual folly it is indeed, to claim for ourselves the right to change in a subjective way the holy signs which time has sifted, through which the Church speaks about herself, her identity and her faith!

Offering a few reflections on means of renewing the sense of the sacred in the liturgy, the Vatican official spoke first about the traditional ad orientem posture, “a traditiona which goes back to the origins of Christianity.” He argued that when priest and congregation alike face toward the east, it is “a characteristic expression of the authentic spirit of the liturgy.” He went on:


In our time, the expression “celebrating facing the people” has entered our common vocabulary. If one’s intention in using this expression is to describe the location of the priest, who, due to the fact that today he often finds himself facing the congregation because of the placement of the altar, in this case such an expression is acceptable. Yet such an expression would be categorically unacceptable the moment it comes to express a theological proposition. Theologically speaking, the holy Mass, as a matter of fact, is always addressed to God through Christ our Lord, and it would be a grievous error to imagine that the principal orientation of the sacrificial action is the community.


Msgr. Marini said that every aspect of the liturgy should be designed to encourage adoration. He pointed out that Pope Benedict has begun the practice of having the faithful, at papal liturgies, receive Communion kneeling, on the tongue, as a way to “render visible the proper attitude of adoration before the greatness of the mystery of the Eucharistic presence of our Lord.” While he wholeheartedly endorsed the call for active participation in the liturgy, the papal liturgist said that the participation of the laity would not be “truthfully active if it did not lead to adoration of the mystery of salvation in Christ Jesus, who for our sake died and is risen.”

Wednesday, December 30, 2009

Christus Regnat - an Irish Journal



'Christus Regnat' is the journal of St. Conleth's Catholic Heritage Association (Ireland). It features articles on Catholic heritage, biographies, history, music, spirituality and liturgy in Ireland. December 2009 issue is now available.


http://catholicheritage.blogspot.com/2009/12/christvs-regnat-december-2009.html

Friday, December 25, 2009

Omelia del Papa nella Notte di Natale 2009


Cari fratelli e sorelle,"Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio" (Is 9, 5). Ciò che Isaia, guardando da lontano verso il futuro, dice a Israele come consolazione nelle sue angustie ed oscurità, l’Angelo, dal quale emana una nube di luce, lo annuncia ai pastori come presente: "Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore" (Lc 2, 11). Il Signore è presente. Da questo momento, Dio è veramente un "Dio con noi". Non è più il Dio distante, che, attraverso la creazione e mediante la coscienza, si può in qualche modo intuire da lontano. Egli è entrato nel mondo. È il Vicino. Il Cristo risorto lo ha detto ai suoi, a noi: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28, 20). Per voi è nato il Salvatore: ciò che l’Angelo annunciò ai pastori, Dio ora lo richiama a noi per mezzo del Vangelo e dei suoi messaggeri. È questa una notizia che non può lasciarci indifferenti. Se è vera, tutto è cambiato. Se è vera, essa riguarda anche me. Allora, come i pastori, devo dire anch’io: Orsù, voglio andare a Betlemme e vedere la Parola che lì è accaduta. Il Vangelo non ci racconta senza scopo la storia dei pastori. Essi ci mostrano come rispondere in modo giusto a quel messaggio che è rivolto anche a noi. Che cosa ci dicono allora questi primi testimoni dell’incarnazione di Dio?


Dei pastori è detto anzitutto che essi erano persone vigilanti e che il messaggio poteva raggiungerli proprio perché erano svegli. Noi dobbiamo svegliarci, perché il messaggio arrivi fino a noi. Dobbiamo diventare persone veramente vigilanti. Che significa questo? La differenza tra uno che sogna e uno che sta sveglio consiste innanzitutto nel fatto che colui che sogna si trova in un mondo particolare. Con il suo io egli è rinchiuso in questo mondo del sogno che, appunto, è soltanto suo e non lo collega con gli altri. Svegliarsi significa uscire da tale mondo particolare dell’io ed entrare nella realtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti. Il conflitto nel mondo, l’inconciliabilità reciproca, derivano dal fatto che siamo rinchiusi nei nostri propri interessi e nelle opinioni personali, nel nostro proprio minuscolo mondo privato. L’egoismo, quello del gruppo come quello del singolo, ci tiene prigionieri dei nostri interessi e desideri, che contrastano con la verità e ci dividono gli uni dagli altri. Svegliatevi, ci dice il Vangelo. Venite fuori per entrare nella grande verità comune, nella comunione dell’unico Dio. Svegliarsi significa così sviluppare la sensibilità per Dio; per i segnali silenziosi con cui Egli vuole guidarci; per i molteplici indizi della sua presenza. Ci sono persone che dicono di essere "religiosamente prive di orecchio musicale". La capacità percettiva per Dio sembra quasi una dote che ad alcuni è rifiutata. E in effetti – la nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci "privi di orecchio musicale" per Lui. E tuttavia in ogni anima è presente, in modo nascosto o aperto, l’attesa di Dio, la capacità di incontrarlo. Per ottenere questa vigilanza, questo svegliarsi all’essenziale, vogliamo pregare, per noi stessi e per gli altri, per quelli che sembrano essere "privi di questo orecchio musicale" e nei quali, tuttavia, è vivo il desiderio che Dio si manifesti. Il grande teologo Origene ha detto: se io avessi la grazia di vedere come ha visto Paolo, potrei adesso (durante la Liturgia) contemplare una grande schiera di Angeli (cfr in Lc 23, 9). Infatti – nella Sacra Liturgia, gli Angeli di Dio e i Santi ci circondano. Il Signore stesso è presente in mezzo a noi. Signore, apri gli occhi dei nostri cuori, affinché diventiamo vigilanti e veggenti e così possiamo portare la tua vicinanza anche ad altri!


Torniamo al Vangelo di Natale. Esso ci racconta che i pastori, dopo aver ascoltato il messaggio dell’Angelo, si dissero l’un l’altro: "'Andiamo fino a Betlemme' … Andarono, senza indugio" (Lc 2, 15s.). "Si affrettarono" dice letteralmente il testo greco. Ciò che era stato loro annunciato era così importante che dovevano andare immediatamente. In effetti, ciò che lì era stato detto loro andava totalmente al di là del consueto. Cambiava il mondo. È nato il Salvatore. L’atteso Figlio di Davide è venuto al mondo nella sua città. Che cosa poteva esserci di più importante? Certo, li spingeva anche la curiosità, ma soprattutto l’agitazione per la grande cosa che era stata comunicata proprio a loro, i piccoli e uomini apparentemente irrilevanti. Si affrettarono – senza indugio. Nella nostra vita ordinaria le cose non stanno così. La maggioranza degli uomini non considera prioritarie le cose di Dio, esse non ci incalzano in modo immediato. E così noi, nella stragrande maggioranza, siamo ben disposti a rimandarle. Prima di tutto si fa ciò che qui ed ora appare urgente. Nell’elenco delle priorità Dio si trova spesso quasi all’ultimo posto. Questo – si pensa – si potrà fare sempre. Il Vangelo ci dice: Dio ha la massima priorità. Se qualcosa nella nostra vita merita fretta senza indugio, ciò è, allora, soltanto la causa di Dio. Una massima della Regola di san Benedetto dice: "Non anteporre nulla all’opera di Dio (cioè all’ufficio divino)". La Liturgia è per i monaci la prima priorità. Tutto il resto viene dopo. Nel suo nucleo, però, questa frase vale per ogni uomo. Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita. Proprio questa priorità ci insegnano i pastori. Da loro vogliamo imparare a non lasciarci schiacciare da tutte le cose urgenti della vita quotidiana. Da loro vogliamo apprendere la libertà interiore di mettere in secondo piano altre occupazioni – per quanto importanti esse siano – per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo. Il tempo impegnato per Dio e, a partire da Lui, per il prossimo non è mai tempo perso. È il tempo in cui viviamo veramente, in cui viviamo lo stesso essere persone umane.


Alcuni commentatori fanno notare che per primi i pastori, le anime semplici, sono venuti da Gesù nella mangiatoia e hanno potuto incontrare il Redentore del mondo. I sapienti venuti dall’Oriente, i rappresentanti di coloro che hanno rango e nome, vennero molto più tardi. I commentatori aggiungono: questo è del tutto ovvio. I pastori, infatti, abitavano accanto. Essi non dovevano che "attraversare" (cfr Lc 2, 15) come si attraversa un breve spazio per andare dai vicini. I sapienti, invece, abitavano lontano. Essi dovevano percorrere una via lunga e difficile, per arrivare a Betlemme. E avevano bisogno di guida e di indicazione. Ebbene, anche oggi esistono anime semplici ed umili che abitano molto vicino al Signore. Essi sono, per così dire, i suoi vicini e possono facilmente andare da Lui. Ma la maggior parte di noi uomini moderni vive lontana da Gesù Cristo, da Colui che si è fatto uomo, dal Dio venuto in mezzo a noi. Viviamo in filosofie, in affari e occupazioni che ci riempiono totalmente e dai quali il cammino verso la mangiatoia è molto lungo. In molteplici modi Dio deve ripetutamente spingerci e darci una mano, affinché possiamo trovare l’uscita dal groviglio dei nostri pensieri e dei nostri impegni e trovare la via verso di Lui. Ma per tutti c’è una via. Per tutti il Signore dispone segnali adatti a ciascuno. Egli chiama tutti noi, perché anche noi si possa dire: Orsù, "attraversiamo", andiamo a Betlemme – verso quel Dio, che ci è venuto incontro. Sì, Dio si è incamminato verso di noi. Da soli non potremmo giungere fino a Lui. La via supera le nostre forze. Ma Dio è disceso. Egli ci viene incontro. Egli ha percorso la parte più lunga del cammino. Ora ci chiede: Venite e vedete quanto vi amo. Venite e vedete che io sono qui. Transeamus usque Bethleem, dice la Bibbia latina. Andiamo di là! Oltrepassiamo noi stessi! Facciamoci viandanti verso Dio in molteplici modi: nell’essere interiormente in cammino verso di Lui. E tuttavia anche in cammini molto concreti – nella Liturgia della Chiesa, nel servizio al prossimo, in cui Cristo mi attende.


Ascoltiamo ancora una volta direttamente il Vangelo. I pastori si dicono l’un l’altro il motivo per cui si mettono in cammino: "Vediamo questo avvenimento". Letteralmente il testo greco dice: "Vediamo questa Parola, che lì è accaduta". Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne. Quel Dio di cui non si deve fare alcuna immagine, perché ogni immagine potrebbe solo ridurlo, anzi travisarlo, quel Dio si è reso, Egli stesso, visibile in Colui che è la sua vera immagine, come dice Paolo (cfr 2 Cor 4, 4; Col 1, 15). Nella figura di Gesù Cristo, in tutto il suo vivere ed operare, nel suo morire e risorgere, possiamo guardare la Parola di Dio e quindi il mistero dello stesso Dio vivente. Dio è così. L’Angelo aveva detto ai pastori: "Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia" (Lc 2, 12; cfr 16). Il segno di Dio, il segno che viene dato ai pastori e a noi, non è un miracolo emozionante. Il segno di Dio è la sua umiltà. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo; diventa bambino; si lascia toccare e chiede il nostro amore. Quanto desidereremmo noi uomini un segno diverso, imponente, inconfutabile del potere di Dio e della sua grandezza. Ma il suo segno ci invita alla fede e all’amore, e pertanto ci dà speranza: così è Dio. Egli possiede il potere ed è la Bontà. Ci invita a diventare simili a Lui. Sì, diventiamo simili a Dio, se ci lasciamo plasmare da questo segno; se impariamo, noi stessi, l’umiltà e così la vera grandezza; se rinunciamo alla violenza ed usiamo solo le armi della verità e dell’amore. Origene, seguendo una parola di Giovanni Battista, ha visto espressa l’essenza del paganesimo nel simbolo delle pietre: paganesimo è mancanza di sensibilità, significa un cuore di pietra, che è incapace di amare e di percepire l’amore di Dio. Origene dice dei pagani: "Privi di sentimento e di ragione, si trasformano in pietre e in legno" (in Lc 22, 9). Cristo, però, vuole darci un cuore di carne. Quando vediamo Lui, il Dio che è diventato un bambino, ci si apre il cuore. Nella Liturgia della Notte Santa Dio viene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani. Ascoltiamo ancora Origene: "In effetti, a che gioverebbe a te che Cristo una volta sia venuto nella carne, se Egli non giunge fin nella tua anima? Preghiamo che venga quotidianamente a noi e che possiamo dire: vivo, però non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20)" (in Lc 22, 3).


Sì, per questo vogliamo pregare in questa Notte Santa. Signore Gesù Cristo, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima. Trasformami. Rinnovami. Fa’ che io e tutti noi da pietra e legno diventiamo persone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo viene trasformato. Amen.

Solidarity with Pope Benedict XVI

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The dramatic moment when Benedict XVI was knocked down by a woman.



Oremus pro pontifice nostro Benedicto. Dominus conservet eum et vivificet eum et beatum faciat eum in terra et non tradat eum in animam inimicorum eius.


Merry Christmas

Omnibus Lectoribus Internexus Pro Tridentina (Malta) Blog Beatam Nativitatem! Christi Iesus Pax Sit Vobis Semper!

I hope that, at least on Christmas, you will be able to attend a Traditional Latin Mass. If you have this blessing, be sure to offer a prayer there for the many traditional Catholics, including the undersigned, who have nothing at all. Godwin

Sunday, December 20, 2009

La Basilica di San Pietro e i messali tridentini. Un felice intervento del card. Arciprete






venerdì 18 dicembre 2009

La Basilica di San Pietro e i messali tridentini. Un felice intervento del card. Arciprete

Da quando il motu proprio di Sua Santità Benedetto XVI ha concesso, ai sacerdoti, massima libertà di celebrare le messe sine populo nella forma che meglio loro aggrada, ordinaria o straordinaria, numerosi sono stati i presbiteri che hanno cercato di solennizzare con il rito della Tradizione il loro passaggio in San Pietro. Ma un ostacolo pratico di non poco momento è stato frapposto a tale legittimo anelito: la Sacrestia di San Pietro non conservava nemmeno un Messale vetus ordo.


Strano, davvero. Non c'è pieve di campagna, parrocchietta di periferia, non parliamo di cattedrali, dove nei secoli non si siano accumulati, insieme a paramenti e suppellettili più o meno preziosi, i ponderosi volumoni indispensabili alla liturgia: spesso il Messale utilizzato era vecchio di decenni, o perfino secoli, ma non si buttava e si continuava all'occorrenza ad usare perché, fino agli anni Sessanta, bastava qualche minimo adattamento (o l'aggiunta di qualche foglio volante con nuove feste), per celebrare la Messa. I tomi si accumulavano e si conservavano col giusto devoto onore.


Figuriamoci quindi in San Pietro, ove non c'era sacerdote di passaggio che non anelasse celebrare in uno dei tanti altari laterali: quale ricchezza di tomi e messali, quale deposito di sacri libri liturgici doveva esserci! E invece, d'improvviso, tutto sparito. Chissà che ne è stato: ci vien da pensare che, ai tempi dell'immediato postconcilio, sia avvenuto un liberatorio Bücherverbrennung di sinistra memoria.


Tant'è, questa la situazione. Il reverendo don Stefano Carusi, dell'Istituto del Buon Pastore, ci trasmette per la pubblicazione la lettera che ha inviato al cardinal Arciprete, per lamentare il fatto e far presente come, dalle parole stesse raccolte in Sacrestia, apparisse chiaro che quell'assenza di Messali non era casuale (il che, come vedrete, è ben grave). Leggete la lettera molto attentamente: è di estremo interesse.





Alla lettera è seguita fattiva e positiva risposta. Siamo perciò lieti di render noto che il cardinal Comastri in persona, Arciprete della Basilica, si è impegnato per rendere disponibili quattro Messali del 1962. Diamo atto al cardinale di questo suo gesto molto positivo, col quale si impegna decisamente a favorire la forma straordinaria in San Pietro e, nel ringraziarlo per il gesto esemplare (se ogni cattedrale del mondo facesse altrettanto, i disegni del Papa procederebbero con ben maggiore speditezza!), invitiamo tutti i sacerdoti amanti del rito nella forma tradizionale ad approfittarne e a non lasciarsi sfuggire la preziosa occasione; tutti a San Pietro, quindi; ed è il caso di dirlo: Introibo ad altare Dei...

Sunday, December 6, 2009

Good Church Manners


From the bulletin of St. Vincent de Paul Church, Kansas City, Missouri:

1. Your first duty on entering a church is to remember the Real Presence of the Blessed Sacrament. Therefore, genuflect until the right knee touches the ground near your left heel. Then, in the pew, kneel and greet our Lord with a prayer.

2. Never talk unnecessarily in church. The church is Christ's audience chamber. Speak only to Him. Keep other conversations for the outside.

3. From the Sanctus to the priest's communion is the most solemn part of the Mass. Do try to kneel during ALL of it.

4. Do not sit back on the seat when those behind you are kneeling in prayer. They have no place to put their hands or prayer book but on your back.

5. An outburst of coughing immediately after the Consecration is surely not a fitting welcome for Our Lord.

6. When you are one of the last ones to receive Holy Communion at the altar rail, it shows a lack of consideration to compel the priest to go to the far end of the rail merely to suit you.

7. Don't COME LATE for Sunday Mass or LEAVE EARLY. If you do this habitually, you may be committing a sin. Leave the church only when the priest has left the sanctuary

8. You are wanting in charity when you say your prayers so loudly that you disturb your neighbors. Our Lord is not deaf and hears even a whispered prayer.

9. Women should have their heads covered when in church, but not with a covering which would be a distraction to others.

10. Do not cling stubbornly to the end of the pew. To do so may cause annoyance and inconvenience to others.

Saturday, December 5, 2009

Latin Mass Appeal

November 29, 2009

By KENNETH J. WOLFE
Washington

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Pope Benedict XVI
WALKING into church 40 years ago on this first Sunday of Advent, many Roman Catholics might have wondered where they were. The priest not only spoke English rather than Latin, but he faced the congregation instead of the tabernacle; laymen took on duties previously reserved for priests; folk music filled the air. The great changes of Vatican II had hit home.

All this was a radical break from the traditional Latin Mass, codified in the 16th century at the Council of Trent. For centuries, that Mass served as a structured sacrifice with directives, called “rubrics,” that were not optional. This is how it is done, said the book. As recently as 1947, Pope Pius XII had issued an encyclical on liturgy that scoffed at modernization; he said that the idea of changes to the traditional Latin Mass “pained” him “grievously.”

Paradoxically, however, it was Pius himself who was largely responsible for the momentous changes of 1969. It was he who appointed the chief architect of the new Mass, Annibale Bugnini, to the Vatican’s liturgical commission in 1948.

Bugnini was born in 1912 and ordained a Vincentian priest in 1936. Though Bugnini had barely a decade of parish work, Pius XII made him secretary to the Commission for Liturgical Reform. In the 1950s, Bugnini led a major revision of the liturgies of Holy Week. As a result, on Good Friday of 1955, congregations for the first time joined the priest in reciting the Pater Noster, and the priest faced the congregation for some of the liturgy.

The next pope, John XXIII, named Bugnini secretary to the Preparatory Commission for the Liturgy of Vatican II, in which position he worked with Catholic clergymen and, surprisingly, some Protestant ministers on liturgical reforms. In 1962 he wrote what would eventually become the Constitution on the Sacred Liturgy, the document that gave the form of the new Mass.

Many of Bugnini’s reforms were aimed at appeasing non-Catholics, and changes emulating Protestant services were made, including placing altars to face the people instead of a sacrifice toward the liturgical east. As he put it, “We must strip from our ... Catholic liturgy everything which can be the shadow of a stumbling block for our separated brethren, that is, for the Protestants.” (Paradoxically, the Anglicans who will join the Catholic Church as a result of the current pope’s outreach will use a liturgy that often features the priest facing in the same direction as the congregation.)

How was Bugnini able to make such sweeping changes? In part because none of the popes he served were liturgists. Bugnini changed so many things that John’s successor, Paul VI, sometimes did not know the latest directives. The pope once questioned the vestments set out for him by his staff, saying they were the wrong color, only to be told he had eliminated the week-long celebration of Pentecost and could not wear the corresponding red garments for Mass. The pope’s master of ceremonies then witnessed Paul VI break down in tears.

Bugnini fell from grace in the 1970s. Rumors spread in the Italian press that he was a Freemason, which if true would have merited excommunication. The Vatican never denied the claims, and in 1976 Bugnini, by then an archbishop, was exiled to a ceremonial post in Iran. He died, largely forgotten, in 1982.

But his legacy lived on. Pope John Paul II continued the liberalizations of Mass, allowing females to serve in place of altar boys and to permit unordained men and women to distribute communion in the hands of standing recipients. Even conservative organizations like Opus Dei adopted the liberal liturgical reforms.

But Bugnini may have finally met his match in Benedict XVI, a noted liturgist himself who is no fan of the past 40 years of change. Chanting Latin, wearing antique vestments and distributing communion only on the tongues (rather than into the hands) of kneeling Catholics, Benedict has slowly reversed the innovations of his predecessors. And the Latin Mass is back, at least on a limited basis, in places like Arlington, Va., where one in five parishes offer the old liturgy.

Benedict understands that his younger priests and seminarians — most born after Vatican II — are helping lead a counterrevolution. They value the beauty of the solemn high Mass and its accompanying chant, incense and ceremony. Priests in cassocks and sisters in habits are again common; traditionalist societies like the Institute of Christ the King are expanding.

At the beginning of this decade, Benedict (then Cardinal Joseph Ratzinger) wrote: “The turning of the priest toward the people has turned the community into a self-enclosed circle. In its outward form, it no longer opens out on what lies ahead and above, but is closed in on itself.” He was right: 40 years of the new Mass have brought chaos and banality into the most visible and outward sign of the church. Benedict XVI wants a return to order and meaning. So, it seems, does the next generation of Catholics.

Kenneth J. Wolfe writes frequently for traditionalist Roman Catholic publications.