
di Gian Guido Vecchi
«I giovani preti? Se è per questo pure diversi vescovi fanno fatica, 
anche all'ultimo sinodo un po' si rideva, molti hanno una difficoltà 
quasi strutturale a legger e e comprendere
 il latino, anche fra gli europei, e dico quello ecclesiastico che è 
molto più semplice della lingua di Cicerone...». 
Il cardinale 
Gianfranco Ravasi sorride con una punta di mestizia, come presidente del
 Consiglio della Cultura vaticano sarà lui a controllare la nuova 
«Pontificia Accademia di Latinità» (Pontificia Academia Latinitatis) che
 Benedetto XVI ha istituito ieri con un motu proprio nel quale scrive 
(in latino, ovvio) quanto sia «urgente» contrastare «il pericolo di una 
conoscenza sempre più superficiale». La Chiesa, aggiunge il Papa, è da duemila anni «custode e promotrice» del latino nel mondo.
Eminenza, il Papa parla dei seminari ma in generale dei giovani e del 
«vasto mondo della cultura». Quale sarà il ruolo dell'Accademia?
«Esistevano già delle istituzioni vaticane come la Latinitas, da ora 
estinta, però adesso si vuole rivedere tutta la questione in modo 
diverso. Anzitutto c'è un valore che si considera permanente 
dell'umanità: il latino — con il greco, naturalmente — è una delle 
matrici assolute della cultura europea e occidentale. Per questo il 
Santo Padre ha nominato presidente dell'Accademia un grande latinista 
come il professor Ivano Dionigi, rettore dell'università di Bologna. Non
 è solo un problema ecclesiale».
Quindi, come si muoverà?
«Prima di tutto ci si impegnerà nella diffusione della cultura latina 
alta e dei suoi contenuti, che sono inscindibili dalla conoscenza della 
lingua. Ogni traduzione è sempre una belle infidèle, come diceva Gilles 
Ménage, anche se è bella è infedele. Io, per dire, penso che Agostino 
perda la metà.
Pensi alle Confessioni, «Nondum amabam, et amare 
amabam... quaerebam quid amarem, amans amare...», ma come si fa?, è come
 tradurre Dante, Agostino sta dicendo che ancora non amava davvero 
perché non sapeva quale fosse l'oggetto del suo amore e c'è una bellezza
 musicale nella lingua, lui ne è un cultore raffinato, ci gioca. Così 
vogliamo recuperare tutto il grande patrimonio culturale latino, 
classico, patristico e medievale: per il mondo. L'Accademia si amplierà a
 livello internazionale, con diverse personalità laiche».
Benedetto XVI parla anche dei seminari...
«Certo, il secondo elemento è ad intra. Il latino è stato ed è la 
lingua ufficiale della Chiesa, in latino sono gli scritti dei Padri, i 
documenti della tradizione, i testi dei Concili, del magistero dei Papi,
 i libri liturgici... Ci vuole un impegno maggiore nei seminari, bisogna
 fare in modo che riescano a capirli!».
Come si è arrivati a questa situazione?
«Non è solo colpa della Chiesa, c'è un problema generale degli studi 
umanistici. Del resto una volta per studiare teologia nei seminari si 
doveva venire dal liceo classico e poi non è stato più così, i corsi 
integrativi non sono bastati, bisogna fare di più. Ma c'è un terzo 
livello...».
Quale?
«Il recupero del latino nella 
modernità. Oggi c'è il gusto di ritornare alla lingua, lo sa che in 
Finlandia esiste un quindicinale per ragazzi in latino? Perché il latino
 ha una funzione formativa. L'inglese parlato — non dico quello alto
 — è una semplificazione, quasi un "twitteraggio" del pensiero. Mentre 
il latino ha una forte impronta razionale, la costruzione dei casi, i 
verbi, la consecutio temporum... Per questo lo si vuole riproporre ai 
giovani».
C'è chi farà l'equazione latino-Chiesa preconciliare...
«Lo so, purtroppo. Se si vuole c'è un recupero del passato e del suo 
patrimonio, ma non reazionario né sterile. La bellezza del latino non è 
alternativa o contrapposta alla Chiesa postconciliare. E poi mi 
piacerebbe sapere se quelli che partecipano ai riti latini sarebbero in 
grado di tradurmi gli inni di Sant'Ambrogio, così raffinati e 
complessi... Anche loro ne hanno bisogno!».
Corriere della sera, 11 novembre 2012