E’ successo nella storia che certi documenti del Magistero della Chiesa non siano stati subito accettati dalla gran parte dei fedeli, non solo laici ma anche consacrati, o magari siano stati criticati, disattesi e a volte anche se non apertamente boicottati, almeno tranquillamente ignorati. E’ un po’ quello che è successo a suo tempo con la Humanae Vitae di Paolo VI ed è quello sta succedendo con il Motu Proprio Summorum Pontificum Cura, che il 7 luglio 2007 ha liberalizzato l’uso del messale romano antecedente al Vaticano II, da cui ha poi preso le mosse il processo di riforma liturgica culminato con l’introduzione del Novus Ordo.
Ed infatti è proprio quello che si propone questo agile studio di Alberto Carosa, L’opposizione al Motu Proprio Summorum Pontificum: fornire un quadro di questa opposizione documentandone i casi più eclatanti anche con nome e cognome, cercando di risalire alle soggiacenti motivazioni, che non sempre sono del tutto chiare e univoche, e nel contempo sfatandone i relativi, soliti luoghi comuni.
Il saggio esce come terza opera della collana Lepanto, sotto l’egida del Centro Culturale Lepanto presieduto da Fabio Bernabei, per i tipi di Fede & Cultura. Si tratta di una valorosa casa editrice che recentemente ha ricevuto dal vescovo ausiliare dell’Aquila, mons. Giovanni D’Ercole, il premio speciale per l'editoria della IX edizione del Premio Internazionale Giuseppe Sciacca nella stupenda cornice della Pontificia Università Urbaniana, sotto l'alta presidenza del Cardinale Darìo Castrillòn Hoys e alla presenza del Segretario particolare di Sua Santità Papa Benedetto XVI, monsignor Georg Gänswein. Come si legge nella motivazione, il suo direttore Giovanni Zenone "ha dato impulso alla diffusione di una sana cultura teologica e storica, scevra da compromessi ideologici e unicamente orientata a superiori finalità spirituali nel rispetto della verità oggettiva, secondo il perenne insegnamento del Magistero della Chiesa".
Ma qual è invece la motivazione dell’opposizione al Motu Proprio papale, che spesso assume i tratti di una vera e propria resistenza e disobbedienza religiosa? Infatti, a differenza dell’Humanae Vitae, che riguarda i laici, nel caso del Summorum Pontificum, sono la gerarchia e specialmente i vescovi ad essere particolarmente coinvolti.
La loro resistenza veniva pubblicamente confermata da una fonte più che autorevole, l’ex-vice-presidente dell’Ecclesia Dei, mons. Camille Perl, nel corso di un convegno a Roma svoltosi il 16-18 settembre 2008, a un anno dall’entrata in vigore del Motu Proprio. Situazione comunque, puntualizzava l’insigne monsignore, comune ad altri paesi europei compresa la Germania, terra natale del Pontefice (pag. 43).
Il quale in un certo senso già denuncia indirettamente questa situazione nella sua lettera d’accompagnamento al Motu Proprio indirizzata ai vescovi, quando smonta previamente quelle che avrebbero potuto essere le eventuali obiezioni dei presuli recalcitranti.
"In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio", afferma il Santo Padre. "Tale timore è infondato… In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato" (pag 33). Ma Benedetto XVI non esita a toccare un altro punto dolens, quando afferma che gli "sta a cuore sottolineare che queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli… Nulla si toglie quindi all’autorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità".
Inoltre il Santo Padre ha pure riconosciuto che la vecchia liturgia in latino attrae i giovani, laici ma anche sacerdoti, che evidentemente sono il futuro della Chiesa. "Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia" afferma sempre nella citata lettera ai vescovi. "Così è sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni".
Nell'autorevole opinione di monsignor Gilles Wach, superiore generale dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote (uno degli istituti di diritto pontificio che si avvalgono della liturgia tradizionale pre-conciliare), queste resistenze erano anche un riflesso dei differenti gradi di applicazione del Motu Proprio, che variava molto da paese a paese. "Il motu proprio è una grande grazia e benedizione per tutta la Chiesa", dichiara mons. Wach. "Ciò diventerà sempre più evidente negli anni, o meglio decenni, a venire". Ad esempio, "in America molti vescovi hanno capito immediatamente ciò che è il Santo Padre voleva e perciò lo hanno applicato nel modo in cui Giovanni Paolo aveva voluto che fosse applicato, e cioè in maniera generosa, consentendo la celebrazione della forma straordinaria della messa nelle loro diocesi", nota il Monsignore. "E per quanto ne so io, qualcosa del genere sta succedendo anche in Francia". Il problema, continuava, era che molti stavano resistendo perché non avevano compreso appieno le vere intenzioni del Santo Padre, così come era successo per l'indulto del 1984 o il Motu Proprio del 1988. "Il Santo Padre ha la missione di guidare la Chiesa e se lui ritiene che ciò sia di giovamento per le anime, la santificazione del clero e dei fedeli", sottolinea, "allora non mi è chiaro per quali motivi si dovrebbe eventualmente resistere alla volontà del Papa" (pag 37-38).
Quindi, come si vede, il Pontefice ha inteso mettere il tesoro spirituale dell’antica liturgia a disposizione di tutti i fedeli, e non solo di una "minoranza di nostalgici" (pag. 32). Per quanto possa sembrare paradossale, la liturgia gregoriana viene richiesta anche da normali fedeli non tradizionalisti, che si dicono scandalizzati per il poco o punto rispetto delle norme per una più che dignitosa celebrazione del Novus Ordo. Così come ad un libello particolarmente virulento, a dire il meno, contro il Papa e il Motu Proprio uscito "a caldo" all’indomani della sua promulgazione, risponde a tono con un altro scritto in difesa del Papa e del suo documento magisteriale non un agguerrito polemista tradizionalista, ma un semplice sacerdote paolino licenziato in teologia, sulla scia di una giusta e incontenibile indignazione per le ingiuriose espressioni usate contro Benedetto XVI e la sua iniziativa (pag. 28).
Del pari, la constatazione di questo paradosso non era frutto della mente esagitata di qualche fanatico ultra-tradizionalista, ma era stata rivelata sull’Osservatore Romano in un intervista all’allora arcivescovo (e ora cardinale) Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don. In questa stessa intervista, l'arcivescovo non esitava a puntualizzare che gli abusi liturgici e lo scarso rispetto delle norme relative al nuovo rito aiutavano a spiegare i motivi che avevano indotto il Papa ha rimuovere le restrizioni sulla celebrazione dell'antico rito. "In tutti questi anni la liturgia ha sofferto troppi abusi che sono stati ignorati dai vescovi", ha affermato, e quindi "Benedetto XVI non poteva restarsene in silenzio".
E infatti non è rimasto in silenzio. "Questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile", ricorda il pontefice sempre nella sua lettera di accompagno al Motu Proprio. "Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa". Non ci si può quindi stupire, nelle stesse parole del cardinale Ranjith, se le richieste per il rito antico "aumentavano nel corso del tempo" in diretta proporzione alla "mancanza di fedeltà e perdita del senso della bellezza" nella liturgia (pagg 33-34). Già in un'altra precedente intervista, questa volta al quotidiano online Petrus (5 novembre 2007) l’insigne porporato denunciava "critiche e prese di posizione contrarie, anche da parte di teologi, liturgisti, sacerdoti, Vescovi e persino Cardinali. Francamente, non comprendo queste forme di allontanamento e, perché no, di ribellione al Papa. Invito tutti, soprattutto i Pastori, ad obbedire al Papa, che e' il successore di Pietro. I Vescovi, in particolare, hanno giurato fedeltà al Pontefice: siano coerenti e fedeli al loro impegno". Il Cardinale arrivava addirittura ad accusare questi confratelli dissenzienti, tesi a vanificare gli sforzi del Papa di ripristinare la vecchia liturgia, di essere motivati da "odio" e "pregiudizi ideologici" (pag. 34), che si spera però riguardino solo un piccola minoranza. Nella maggior parte dei casi l’avversione al vecchio rito e al Motu Proprio che l’ha liberalizzato si manifesta in altre forme, ad esempio col silenzio. Quanti sono infatti i vescovi che hanno compiutamente obbedito, ad esempio diramando istruzioni a tutte le parrocchie della diocesi per informare i fedeli della possibilità offerta dal Papa e quindi invitando a farsi avanti quanti fossero interessati?
La Stampa ha accomunato vescovi inglesi, gallesi e italiani nel loro "clamoroso silenzio" circa la questione, accusando questi ultimi di condurre una "vera battaglia silenziosa contro il Motu Proprio di Benedetto XVI" (pag. 42). Riguardo agli altri presuli, v’è da dire che nessuno di loro era presente al solenne pontificale secondo il rito straordinario celebrato dall’allora presidente della Ecclesia Dei, il cardinale Dario Castrillon Hoyos, il 14 giugno 2008, nella cattedrale di Westminster a Londra, e salutato come la prima messa in rito antico dopo trent’anni, alla presenza di oltre 1500 persone, tra cui spiccavano molte giovani famiglie (pag. 40). Ma in compenso, negli stessi giorni più di 60 giovani sacerdoti provenienti da tutta la Gran Bretagna si erano iscritti ad una corso estivo tenuto al Merton College, Oxford, per imparare a celebrare secondo questo venerabile rito antico, al fine di riscoprire ciò che il Catholic Herald definiva "le ricchezze della forma straordinaria" (pag. 41). In una conferenza stampa prima del pontificale, il porporato aveva definito "dono" e "tesoro" l’antica liturgia, sottolineando il desiderio del Papa che ogni parrocchia offrisse la possibilità di entrambi i riti per la messa domenicale. "Il Santo Padre desidera offrire a tutti questa possibilità, e non soltanto a quei pochi gruppi che ne facciano richiesta, affinché ognuno conosca questa maniera di celebrare l'eucaristia nella Chiesa cattolica", aveva dichiarato Castrillon Hoyos. "Questo genere di celebrazione è così nobile, così bella, la maniera più profonda per esprimere la nostra fede…Il culto, la musica, l'architettura e la pittura formano tutto un complesso che è un tesoro" (pag. 41)
Fra i più noti oppositori del Motu Proprio figura anche il cardinale belga Godfried Danneels, arcivescovo emerito di Malines-Bruxelles, il quale durante un congresso internazionale di liturgia tenutosi a Barcellona se n’era uscito con la trita e ritrita argomentazione secondo cui la liberalizzazione del vecchio rito era tesa ad accontentare esclusivamente i seguaci di monsignor Lefebvre, al fine di facilitare la loro riconciliazione con Roma, ma che per il resto si fosse rivelato un fallimento. Se, a quanto risulta, il porporato si è sempre opposto all'attuazione del Motu Proprio nella sua diocesi di Malines-Bruxelles, come si può parlare di fallimento di una misura di cui è stata proibita l’attuazione (pag. 44)? D’altronde sulla scia delle note e tristi vicende che hanno riguardato l’episcopato belga e il conseguente irriguardoso, per usare un eufemismo, comportamento delle autorità di polizia, che hanno indotto alla protesta perfino la Santa Sede, è emersa in tutta la sua tragicità la situazione di una locale Chiesa cattolica ormai ridotta al lumicino. Non si può fare a meno di pensare al noto passo evangelico che paragona i ministri di Dio al sale della terra: "Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini" (Matteo 5,13-16).
Sarebbe poi interessante sapere se ci sono stati vescovi che nel loro rapporto alla Santa Sede dopo i primi tre anni dall’entrata in vigore del Motu Proprio, secondo l’invito loro rivolto da Benedetto XVI, avranno similmente parlato di fallimento, dopo averne impedito l’attuazione con tutti i mezzi, con il silenzio prima e opponendosi alle eventuali richieste dei fedeli dopo. Se si guarda a certe statistiche, infatti, l’interesse per l’antica liturgia appare tutt’altro che irrilevante. Su una campionatura di 40.000 fedeli italiani, ecco le conclusioni a cui giungeva il sondaggio online promosso dal Corriere della Sera: il 74, 4% si dichiarava a favore del ripristino della vecchia messa in latino, a fronte di un 25, 6% che invece si pronunciava a sfavore. Risultato più o meno in linea con un altro sondaggio, commissionato dal gruppo cattolico francese Paix Liturgique: il 65% dei cattolici francesi interpellati, se avesse possibilità di scelta, opterebbe per la vecchia messa in latino, mentre il 22% era indifferente e soltanto il 13% si dichiarava contraria. Esito che tra l'altro contrasta con la convinzione di molti esponenti del clero francese, che si oppongono al ritorno ufficiale del vecchio rito perché ai loro fedeli non piacerebbe. Ecco quindi la smentita di un altro mantra, secondo cui non il ripristino della liturgia contrasterebbe con i "desiderata" del popolo fedele (pag. 14).
E ancora una volta BenedettoXVI va al cuore del problema quando, in una domanda a pag. 48 del libro-intervista "Luce del Mondo", Peter Seewald gli rammenta di aver affermato che "la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici di fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa". In questo caso peccato di disobbedienza, per cui il cardinale Ranjith non ha esitato a parlare perfino di ribellione; il Santo Padre però non poteva essere più chiaro quando alla fine dell’art. 1 del Summorum Pontificum afferma: "Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa".
A proposito: a distanza di tre anni e mezzo dalla promulgazione, il testo italiano del Motu Proprio, rimosso quasi subito dal sito ufficiale del Vaticano, continua a non comparirvi. Vi è solo l'originale in latino e, chissà perché, l'unica traduzione presente è quella in ungherese. Forse perché è notoriamente la lingua più ostica, aliena e incomprensibile di tutta Europa...
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